È sempre più drammatica la situazione ad Haiti dove «la gente è allo stremo e chiede aiuto. Autorità, ascoltatela ed agite di conseguenza. La situazione è seria, fate tutto il possibile per chiudere il rubinetto del sangue che scorre nel paese. Ve lo chiedo fermamente e con tutto il rispetto a nome della Chiesa e di tutto il popolo di Dio che soffre». È questo il coraggioso messaggio di condoglianze per i parenti delle oltre 115 vittime della gang “Gran Grif de Savien” fatto dal 62enne arcivescovo di Port-au-Prince, Max Leroy Mésidor.
Si è trattato dell’ennesimo massacro nel martoriato dipartimento dell’Artibonite, nel nord-ovest di Haiti, il 3 ottobre scorso, nel comune di Pont-Sondé. «Tutta Haiti è malata e l’intero paese soffre da molto tempo, ma i dipartimenti dell’ovest (quello della capitale Port-au-Prince, controllato per l’80 per cento dalle gang, ndr) e dell’Artibonite, i due più grandi del paese, stanno peggio», ha spiegato l’arcivescovo di Port-au-Prince, che da novembre presiede anche la Conferenza episcopale di Haiti dove la nunziatura è vacante dal 25 gennaio scorso.
«Non si è fatto nulla»
«Esiste un progetto segreto per smantellare i due dipartimenti e per porre fine ad Haiti?», chiede a nome della comunità locale monsignor Mésidor, visto che «ogni settimana arrivano urla terrificanti ed è la morte di bellissime città come Petite-Rivière-de-l’Artibonite e Liancourt che prima erano piene di vita e da due anni sono disperate, senza polizia. Quante volte le persone di queste città hanno chiesto aiuto? Quante volte gli abitanti di Liancourt hanno detto che avrebbero aiutato la polizia a recarsi nella zona? Diverse associazioni hanno inviato proposte alle autorità. Nessuna risposta! Non è stato fatto nulla! La popolazione è lasciata da sola, Liancourt è abbandonata da tempo e ora tutti se ne sono andati».
Un quadro desolante ma reale, anche perché «a Petite-Rivière-de-l’Artibonite restano poche persone (erano circa 200 mila gli abitanti due anni fa, ndr) ad osservare i saccheggi quotidiani, in attesa del loro turno. Da tempo c’erano gravi minacce contro Pont-Sondé e non si ha la sensazione che siano state adottate grandi misure per evitare ciò che è accaduto il 3 ottobre», denuncia l’arcivescovo di Port-au-Prince mentre invia le condoglianze della Chiesa a tutte le famiglie in lutto.
Pace impossibile
Monsignor Mésidor, dimostrando grande coraggio, ha posto domande alle massime autorità, dai membri del Consiglio presidenziale di transizione presieduto da Leslie Voltaire, al direttore generale della polizia, Rameau Normil. «Come è possibile che tutto quello che gli uomini armati dicono di fare riescono sempre a farlo, salvo poche eccezioni? Annunciano che occuperanno un’area e poco tempo dopo la prendono. Perché tutti gli incontri sulla questione della forza multinazionale (guidata dal generale keniano Godfrey Otunge, ndr), le cose non hanno fatto altro che peggiorare?».
Esempi sono Mariani e Gressier, due città dell’hinterland di Port-au-Prince, e Ganthier, alla periferia della martoriata Croix-des-Bouquets, a 31 chilometri dalla capitale, e la già citata Petite-Rivière-de-l’Artibonite. «Cosa aspettiamo per decidere di dare davvero alla gente la possibilità di vivere in pace, a casa loro? Quante chance lasceremo cadere di nuovo prima di dimostrare che abbiamo sensibilità nei loro confronti? Non vedete, autorità, che siamo sulla stessa strada di chi c’era prima di noi (l’ex primo ministro Ariel Henry), che la transizione che stiamo conducendo non mostra cambiamenti e che si continuano a commettere gli stessi errori di prima, ovvero scandali e indifferenza?».
Il coraggio della Chiesa
La costante dell’attuale violenza ad Haiti è iniziata quando Jean-Bertrand Aristide e il suo partito Fanmi Lavalas diedero il via al modello delle gang, tra fine degli anni Novanta e l’inizio del millennio. Oggi le gang sono decine, contano su almeno 15 mila uomini armati e da anni si contendono il territorio di questo paradiso caraibico. Quasi tutte hanno un referente politico locale e anche questo spiega perché il tasso di omicidi sia tra i più alti del mondo, con una crescita esponenziale del 126 per cento negli ultimi 12 mesi (dati dell’Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti). Una violenza aumentata dopo l’omicidio dell’allora presidente, Jovenel Moïse, il 7 luglio 2021. Non bastasse, da inizio 2024 le principali gang si sono unite chiedendo e ottenendo le dimissioni del primo ministro Ariel Henry, oltre a prendere il controllo dell’80 per cento di Port-au-Prince, imponendo un regime di terrore.
«Ciò che mi ha sorpreso molto quando sono arrivato qui è stato che le bande osassero attaccare in pieno giorno», ha dichiarato Godfrey Otunge, il comandante keniota della forza di pace multinazionale, in un’intervista al New York Times. «Come può accadere?», avrebbe chiesto il generale ai reporter del quotidiano statunitense. La domanda da fargli, a detta del quotidiano haitiano indipendente Le Nouvelliste, sarebbe stata un’altra: «Chi ha informato il comandante Godfrey Otunge? Anche perché il generale ha riferito di “progressi significativi”, rinnovando la sua determinazione a portare a termine la missione».
I residenti di Ganthier, Gressier, Pont-Sondé e di tante città della periferia e quartieri di Port-au-Prince vedono la realtà con occhi diversi. Gli stessi della Chiesa cattolica, di monsignor Mésidor e di papa Francesco che recentemente ha lanciato un accorato appello per Haiti, «dove continuano le violenze contro la popolazione, forzata a fuggire dalle proprie case in cerca di sicurezza altrove, dentro e fuori dal Paese. Non dimentichiamo mai i nostri fratelli e sorelle haitiani».